Intervista al ministro
dell’Interno Marco Minniti: “Abbiamo contenuto i flussi migratori. Chi arriva
in Italia è rifugiato e non più richiedente asilo”.
di Vladimiro Polchi, La
Repubblica
24 dic. 17
«Sei mesi fa, quando l’Italia
ha visto approdare in un solo giorno 26 navi cariche di migranti, nessuno ci
avrebbe creduto. Invece, dopo aver contenuto i flussi, abbiamo messo in piedi
il primo corridoio umanitario della storia, dalla Libia a un Paese europeo».
Il ministro dell’Interno,
Marco Minniti, esce dal Senato dopo il via libera alla legge di bilancio, con
negli occhi ancora le immagini dei rifugiati atterrati venerdì sera a Pratica
di Mare: «Nel 2018 fino a 10mila profughi potranno raggiungere senza rischi
l’Europa attraverso corridoi umanitari, mentre stando agli obiettivi dell’OIM
30mila saranno i migranti senza diritto all’asilo che potranno tornare a casa
con rimpatri volontari. Quest’anno già lo hanno fatto in 18mila. Con la
cooperazione delle autorità libiche, abbiamo costruito un nuovo modello di
gestione dall’altra parte del Mediterraneo».
Intanto però in Senato
affonda definitivamente la legge sulla cittadinanza.
«Purtroppo siamo arrivati
troppo tardi a porla come centrale in questa legislatura. Ma è una riforma necessaria,
che deve restare all’ordine del giorno del Paese. Lo ius soli infatti non è una
legge sull’immigrazione, ma sull’integrazione, tassello cruciale delle
politiche migratorie, di cui fanno parte anche controllo dei flussi e corridoi
umanitari».
Come funzioneranno i
corridoi?
«Grazie anche agli
accordi tra Roma e Tripoli, il personale Unhcr ha potuto selezionare in Libia
chi ha diritto alla protezione internazionale. Chi arriva in Italia, insomma, è
rifugiato e non più richiedente asilo. Le organizzazioni internazionali inoltre
sono già messe in condizione di visitare i centri d’accoglienza e migliorarne
le condizioni di vita, oggi ancora inaccettabili».
Non si poteva fare questo
prima di chiudere la rotta mediterranea e intrappolare migliaia di migranti in
Libia?
«Con i corridoi si è
raggiunto il completamento di un disegno complessivo del fenomeno. Solo dopo
esserci mostrati credibili nel contrasto all’illegalità dei flussi, abbiamo
potuto costruire percorsi legali per i migranti presenti in Libia. Per questo,
prima si è agito sul controllo del confine marittimo, attraverso il
potenziamento della Guardia costiera libica. Poi di quello terrestre a sud
della Libia, che ha impedito al Paese di trasformarsi in un collo di bottiglia.
E in questa direzione va letto l’invio di un contingente militare italiano in
Niger. E ancora: col premier al-Serraj abbiamo messo in piedi un’operation room
italo-libica contro il traffico di esseri umani, basata sulla collaborazione
tra Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e procura di Tripoli. A
gennaio prevediamo infine il completamento di un intenso programma di aiuti
umanitari già avviato verso le città libiche crocevia dei trafficanti. Bisogna
capire che se l’immigrazione è un fenomeno strutturale, non può essere più
risolta con politiche emergenziali».
Com’è la situazione sul
fronte accoglienza?
«Siamo fuori
dall’emergenza di qualche mese fa. Registriamo un significativo calo degli
sbarchi e un’impennata dei ricollocamenti: quest’anno abbiamo trasferito in altri
Paesi Ue oltre 11mila migranti, lo scorso anno eravamo fermi a quota 2.500».
A febbraio lei ha firmato
un Patto con le principali associazioni islamiche. Qual è il prossimo passo?
«Se l’unificazione dei
musulmani andrà avanti, potremmo passare presto dal Patto all’Intesa, che
formalizzerà la costituzione di un islam italiano. Una piccola rivoluzione
copernicana».
Recentemente lei ha
rilanciato l’allarme foreign fighters di ritorno. L’Italia è pronta alla sfida
della minaccia terroristica?
«Quest’anno abbiamo già
espulso 103 persone, utilizzando uno straordinario strumento di prevenzione: il
rimpatrio per motivi di sicurezza nazionale. Basta infatti l’abbozzo di un
disegno terroristico per intervenire, senza che ci sia una progettualità
effettiva. Abbiamo poi preso misure eccezionali di controllo del territorio,
anche sotto questo Natale. Per il resto, in una fase di prevedibilità zero
degli attacchi terroristici, come ha dimostrato l’attentato al mercatino di
Berlino, mantengo un atteggiamento scaramantico e prudente. Ma intanto ricordo
ancora con gioia lo scorso Capodanno, quando a Roma, via dei Fori imperiali
blindata per motivi di sicurezza fu invasa da gente festosa. E anche quando
durante il 60° anniversario dei Trattati di Roma non impedimmo a nessuno di
manifestare. Ecco, per me sicurezza e libertà vanno sempre tenuti assieme».
A proposito di sicurezza,
un liceale 17enne è stato accoltellato pochi giorni fa a Napoli.
«Di Napoli me ne occupo
dall’inizio del mio mandato. Già è in corso da parte delle forze dell’ordine
un’operazione di saturazione del territorio, portata avanti anche con la
videosorveglianza, come nel rione Sanità. Lo Stato è presente e non mollerà
mai, come a Ostia, dove dobbiamo liberare il litorale dalle organizzazioni
criminali. Ricordo che quest’anno abbiamo sciolto 21 consigli comunali per
mafia, contro gli 8 dello scorso anno: uno scioglimento non è certo una festa
per la democrazia, ma uno strumento utile a colpire le infiltrazioni mafiose
nelle istituzioni. Ma tutto questo da solo non basta».
Di cos’è fatta allora la
sicurezza?
«La sicurezza è fatta
anche di lavoro sulle periferie, inclusione sociale, educazione. È un problema
di modelli di vita, di costruzione delle coscienze, per questo è stata bella la
manifestazione di Napoli in risposta all’aggressione del liceale. La verità me
l’ha detta Massimo, un ragazzo che ha costruito un centro sociale al Corviale,
a Roma: la maggioranza delle persone è perbene e una politica riformista deve
impedire che una minoranza criminale vinca su questa maggioranza».